Sul perdonabilissimo incartamento
Mi divertono le accuse di fascismo al movimento degli Imperdonabili da parte dei più privilegiati. Il tentativo di trovare linee di continuità con i fattori economici e sociali e la retorica che accompagnò l’ascesa dei totalitarismi nei primi decenni del secolo scorso.
Mi diverte perché oggi la casta dominante si è incartata.
Ha utilizzato gli strumenti del politicamente corretto e di un certo buonismo retorico per neutralizzare la rabbia sociale. Il meccanismo è stato: se ti arrabbi sei fascista. Puoi essere al massimo indignato, ma in modo molto chic. Se però gli arrabbiati iniziano a prendere a martellate i capisaldi del fascismo l’accusa diventa ridicola. Gli imperdonabili non ne possono più dei privilegi e anche se con una salutare dialettica interna fanno propri non gli argomenti di Papini, quanto invece quelli di Marx e Gramsci. Siamo partiti proprio da lì: il lavoro è un valore, non può essere una scocciatura che si frappone alla propria narcisistica espressione artistica. “Si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza, un progresso che è condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale.”K.Marx – F.Engels, L’ideologia tedesca, I, 1.
Le opere che nascono senza la densità di vita propria degli uomini sono per loro stessa essenza vuote. Un libro esemplare e a mio modo di vedere eccellente e illuminante, seppure pervaso da una poetica visionaria e un profondo senso del religioso, è Giordano di Andrea Caterini. Il capolavoro di Andrea è impensabile senza una profonda riflessione sul lavoro. La seconda riflessione che ha conquistato presto i cuori imperdonabili è l’idea gramsciana di egemonia. Gli imperdonabili si sono rotti le scatole che la classe dominante abbia colonizzato e continui a colonizzare anche l’immaginario dei lavoratori, in una congiuntura in cui si sta polarizzando la concentrazione della ricchezza. Da qui la critica al romanzo borghese, alle solite storie proposte e riproposte dai soliti noti, agli amici del pianerottolo. Queste due considerazioni originarie hanno prodotto un effetto domino: la colonizzazione dell’immaginario è percepita sempre più come forzata e inattuale e così allontana i lettori dall’esperienza del libro. Le storie non interessano più a nessuno. Nessuno ci si riconosce. La cultura del libro volge al termine.
Da qui parte la crociata di Giulio Milani contro il pianerottolo culturale. La riaffermazione del ruolo della vita autentica (fatta anche di cura e genitorialità, ci ricorda Michela Srpic), come strada per riconnettere i lettori al libro, per donare strumenti di riconoscimento non solo a studenti universitari fuori sede e fuori corso, a dottorandi e professori universitari che possono dedicare la vita allo studio delle strutture narrative. Che il libro torni a parlare del mondo così com’è, non della visione edulcorata e condivisa, il canone stabilito da chi non deve sbattersi ogni giorno per campare, crescere i figli e prendersi cura dei genitori che invecchiano. Che ne parli anche in modo distopico o utopico, fantastico o fantascientifico, attraverso il thriller o la fiaba, ma che ne parli. Voglio aggiungere che gli imperdonabili sono stanchi delle corporazioni di fatto o di diritto, quello sì un istituto fascista per creare barriere di ingresso agli outsider. Le professioni ordinistiche, si dirà: giornalisti, avvocati, notai, commercialisti. Certo, ma anche la casta inavvicinabile dei professori universitari che attraverso i concorsi scelgono i propri concorrenti.
Per come la vedo io, la crociata degli imperdonabili ha come proprio fondamento una rivoluzione libertaria ed egualitaria, il superamento delle differenze di casta, la rottura delle barriere e dei tetti di cristallo. Infatti i falsi profeti stanno venendo fuori. Chi ha utilizzato per decenni l’antifascismo come strumento per tutelare e consolidare i propri privilegi, si trova improvvisamente nudo.
Simone Cerlini scrive di letteratura e costume per Pangea.news. Ha collaborato con Il primo amore e
Scrittinediti. Nel 2013 pubblica con Fabio Orrico la raccolta di saggi “L’indicibile nella narrativa
contemporanea”. “La ragazza che ballava sui cornicioni” (Feltrinelli Zoom, 2015) è la sua ultima raccolta di
racconti.