Questo Raimo poesse piuma o poesse fero… Christian, facce sognà!

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Confesso subito la mia simpatia umana nei confronti di Christian Raimo, così siamo a posto. Dai suoi esordi con “Latte” per Minimumfax del 2001 ci siamo incrociati e visti parecchie volte: Fiera del libro di Torino, Più Libri più liberi di Roma. Un’occhiata, un saluto e via. Anche perché ho come l’impressione che Raimo abbia un’insofferenza spiccata per il genere umano. Me compreso.

Memorabile una presentazione nel modenese, d’estate, in cui dovevamo fare qualcosa la sera ma arrivammo tutti al pomeriggio e passammo diverse ore assieme. Dico “tutti” perché quel giorno era arrivato Alessio Torino, c’era uno dei fondatori di Minumumfax, ossia Daniele Di Gennaro, poi più tardi arrivò bello “ingiacchettato” Gianluigi Ricuperati che aveva appena pubblicato e lo si guardava con circospezione perché aveva un mood che bisognava capire e non era immediata la lettura che se ne poteva fare. Tipo introspettivo. Raimo appena mi vide ebbe qualcosa da ridire sui miei vestiti. Se non ricordo male ero vestito di nero, roba largona, pantapalazzo, sandaloni, camicia svulazzante (come direbbe Abbatantuono prima maniera). Ma capii subito l’ironia e mi divertì.

Penso proprio che un tratto distintivo di Raimo sia il registro ironico che a volte diventa sarcastico quando è particolarmente accalorato per questioni di principio. Soprattutto questioni civili. Soprattutto-tutto questioni politiche. Quel giorno la compagine Minimumfax usava linguaggio e riferimenti che mi sfuggivano. Roba inerente libri da fare, anzi penso roba inerente DVD da produrre, perché parlavano di Albertazzi e del suo “Memorie di Adriano“. Io purtroppo vivo spesso di preconcetti, e siccome ricordo Carmelo Bene intervistato dal compianto “Romanone” Battaglia in cui il genio, mentre si fumava l’ennesima stizza ed era chiaramente ubriaco (cioè lucidissimo) diceva: “Albertazzi…ALBERTAZZI…Il mio pastore tedesco l’ho chiamato Albertazzi! Gli dico Albertazzi a cuccia!…”, ecco io da quel momento Albertazzi lo avevo paragonato al pastore tedesco di Bene, per cui gli davo l’attenzione suggerita da Carmelo.

Non lo dissi alla crew Minimumfax, anche perché i Minimum me li beccavo via fax quando mandavano una specie di fanzine via fax, appunto, e abitavo a Ferrara metà anni ’90 del XX° Secolo d.C, con Sergio Fortini che mi passava questa carta lucida su cui c’erano racconti e, mi pare di ricordare, una sorta di elenco di libri prodotti da questa Minimum che mandava una newsletter via Fax e mi sembrava una genialata assoluta, visto che io seguivo le fanzine musicali e letterarie. Massimo rispetto, dunque. Trippashake la attendevo come gli Ebrei attendono il Messia. La fanzine di Andrea PominiI Fichissimi” la aspettavo con lo stesso sentimento con cui santa Teresina di Lisieaux aspettava le visioni. Per cui ascoltavo e sentivo questi discorsi da truppa bella affiatata e mi divertiva.

Raimo è uno che ti guarda da quelle lenti e quella montatura grande e si fa già un’idea di te, grossomodo esatta. Perché è uno sveglio e i romani hanno affinato una capacità di sguardo che chi è della provincia può capire solo se ha fatto un certo discorso dentro se stesso. Gente disillusa, che non si fa abbindolare dalle parole di un politico, di un santo, di un papa, di un sindaco, di un allenatore, di un presidente statunitense che arriva e paragona il Colosseo a 10 campi da baseball. Bellissimo un episodio in cui Edoardo Albinati, romanissimo, al Cairo aveva avuto uno screzio col direttore dell’Istituto italiano di cultura in Egitto per questioni di ritardi che avevamo fatto e lui le disse (perché era una presid*): “Calma, sei ‘na preside. Chette aggitiaffa’…?” Memorabile! Quando io, invece, ero schiscio e intimidito da tutto quell’ambaradan e quella trafila di appuntamenti e salamelecchi e pranzi con cene ufficiali, ambasciatori e segretari. Tutti ben pagati e retribuiti e serviti e riveriti con autista, schiavetti a casa eccetera. Però col senno di poi aveva ragione lui. “Carmate sei ‘na preside…”

“[…] i romani hanno affinato una capacità di sguardo che chi è della provincia può capire solo se ha fatto un certo discorso dentro se stesso.”

E così è Raimo, uno che porta tutto nella giusta dimensione, cioè per essere più precisi, ridimensiona. E ha ragione lui. Insomma il suo sarcasmo, la sua ironia caustica hanno la meglio su tante parole inutili. Soprattutto è uno che ha capito che la vera rivoluzione si fa studiando. Infatti mi sa che in questi anni, oltre alla filosofia, ha approfondito e studiato Storia con tutte le varie applicazioni annesse e connesse di sociologia, antropologia, politica. Sulla visione “fascistizzante” dell’esistenza non mi troverà mai d’accordo. Mi spiego meglio: diversi suoi studi l’hanno portato alla convinzione che il grande nemico della società è ancora il “fascismo”, ma è una convinzione che, forse per mia ingenuità, non riesco a vedere come un pericolo perché la nostra società ha spesso anticorpi molto efficaci barra efficienti che impediscono il proliferarsi di quello che per lui è “fascismo”. L’analisi dovrebbe essere più approfondita, ma quello che mi interessa qui, ora, è Raimo che in questa foto ha la sua bella cravattina disordinata e per la maggior parte dell’incontro (stavolta eravamo in una saletta civica di un luogo terremotato) abbiamo parlato di scuola e studenti, perché nel frattempo gli hanno dato la cattedra in un liceo e ha, come si suol dire, uno sguardo privilegiato sul mondo dei ragazzi.

Lui lo dice chiaro: se vogliamo svoltare dobbiamo investire in cultura, studio, scuola. Oltre a dirlo organizza e si fa promotore di iniziative per la salvaguardia e la difesa di spazi indipendenti nei quartieri romani. Fa bene? Fa male? Lo fa con spirito comunitario? Lo fa per guadagnarsi un ipotetico elettorato? Non so, ma credo sia importante vederlo in azione per capire bene, perché quel sarcasmo e quell’ironia di cui parlavo prima la utilizza con forza dinamitarda soprattutto in televisione, quando lo chiamano ai dibattiti politici e tende a rompere le narrazioni stereotipate di alcuni suoi interlocutori di parte avversa.

“[…] se vogliamo svoltare dobbiamo investire in cultura, studio, scuola. […] Fa bene? Fa male? Lo fa con spirito comunitario? Lo fa per guadagnarsi un ipotetico elettorato? Non so […]”

Mi ha divertito un sacco, poco tempo fa, un suo intervento da Porro a Quarta Repubblica, in cui mentre parlavano Capezzone, lo storico Marco Gervasoni o Edward Nicolae Luttwak, o un esperto di strategie militari, Raimo scriveva su fogli A4 le sue rimostranze. Volevano farlo passare per coglione, ma aveva ragione lui. Diceva: “Ma non vi vergognate a fare una televisione del genere?” oppure “Quando fate una trasmissione dovete prepararvi meglio!” oppure “State parlando di razzismo e siete in 7 uomini bianchi a parlare di razzismo contro i neri, ma vi rendete conto?” e loro lì a dissentire e a cercare di incastrarlo e farlo passare per scemo. Raimo impassibile, con la faccia da schiaffi, a dire la sua con quel tono di chi prende per il culo. Grande!

Mi sa che mentre era lì gli scrissi pure un wattsapp per caricarlo e incitarlo, perché era un gigante. Indimenticabile il suo: “Se faccio vedere ‘ste robe ai miei studenti…ma vi rendete conto?” Raimo con quei fogli su cui scriveva i suoi pensieri sembrava quel video dei Curiosity killed the cat in cui mentre il cantante balla c’è Andy Warhol con alcuni fogli in mano su cui scrive slogan (lo so che non sapete chi sono i Curiosity, ma andate su Youtube e vi sarà dato). Raimo li aveva tutti contro, Luttwak ridacchiava mentre lo scrittore diceva: “Suprematisti bianchi…”. Ma aveva la stessa espressione di Albinati mentre diceva là al Cairo: “statte carma, sei ‘na preside in Eggitto…” e per me hanno ragione loro. Mai visto in tv uno che risponde alle cazzate con fogli A4 SCRITTI A PENNARELLO.

Poi vabbé, mi sa che da quella volta in tv non c’è più andato perché non lo vogliono uno così, o forse non vuole più andare lui. Però a ‘na certa si è rotto le palle di quei discorsi, si è alzato, ha attaccato due o tre fogli sul cartongesso dello studio e se n’è andato salutando assoreta. Discorso a parte la sua battaglia con Calenda. A dire il vero non è un discorso a parte, perché è sempre in tema con l’amministrazione della “città eterna”. Raimo riprende spesso dichiarazioni di Calenda per smontarle. Calenda che è un ragioniere precisino (d’accordo sarà iperlaureato in economia in qualche prestigiosa università internazionale, ma sempre ragioniere è) spesso ribatte a Raimo o riporta quel che dice Raimo per sminuirlo.

“[…] a ‘na certa (Raimo) si è rotto le palle di quei discorsi, si è alzato, ha attaccato due o tre fogli sul cartongesso dello studio e se n’è andato salutando assoreta.”

A parer mio non posso dire nulla perché il mio giudizio su Calenda è sempre viziato dal fatto che per me lui è e rimarrà forever Cuore” perché, come saprete tutti, recitò nello sceneggiato di suo nonno Luigi Comencini nel 1984 interpretando Enrico Bottini, studente di buona famiglia figlio di un ingegnere. Ma che ve lo dico a fare. Siete tutti ferratissimi su De Amicis. Anche in questo caso Raimo è combattivo, sagace, e argomenta sempre le sue perplessità. Soprattutto me lo vedo, con la sua faccia un po’ così, che si gratta per un attimo la testa perplesso, quell’espressione un po’ così, e poi giù a scrivere. Ricordo una volta un panegirico che fece su Renato Nicolini. Proprio grazie alla sua accorata descrizione dell’ex assessore cultura e delle sue memorabili “estati romane” mi passai qualche ora a leggere e guardare tutto ciò che di Nicolini c’è disponibile on-line. Era un serio e raffinato dissacratore dei modi e degli usi di una certa “romanità” e quindi di una certa “italianità” degli anni in cui faceva politica tra la metà degli anni 70 e la metà degli ’80.

Così eravamo lì, io e Raimo. Dietro di noi la bandiera italiana, quella europea e quella municipale. Pretesto dei nostri discorsi i libri più recenti pubblicati da Laterza ed Einaudi. Eravamo appena stati in una pizzeria di questo paesino emiliano sperduto in cui c’erano ancora alcuni casottini di legno al posto dei negozi in mattoni, gru e case in ristrutturazione. Pensavo agli scrittori romani ancora alla ricerca di un colpevole per l’omicidio Pasolini, alla Roma raccontata da Fellini quando già la Dolce Vita era finita da almeno 10 anni, ai contemporanei che credono ancora nel cantautorato alla Calcutta. La Roma de li Castelli, la Roma dei mercatini Freak nel 2021. La Roma di Nuovi Argomenti, la Roma dei poeti alla Bellezza che litigava con Aldo Busi nelle trasmissioni televisive, la Roma eterna dell’omicidio Varani e del fatto che nessuno si sia accorto che si chiama Varani anche il tipo che ha gettato l’acido sulla faccia di Lucia Annibali, la Roma dei tassisti che quando arrivo a Termini per dirmi che il taxi è libero un giorno mi hanno urlato: “A belli capelli!” e un’altra volta, visto che avevo saltato un cumulo di robaccia uno mi ha detto: “A oiiioo Core!” (per chi non lo sapesse c’è una pubblicità dove uno beve olio Cuore e salta una staccionata). La Roma di Remo Remotti che diceva: “Me ne andavo via da quella Roma addormentata, dove le domande erano già chiuse e c’era bbisogno della raccomandazione. Me ne andavo da quella Roma sempre col sole estate e inverno. Quella Roma che è meglio de MMilano, quella Roma dove nun c’è na lira. Me ne andavo da quella Roma de mmerda. Addio!”

Ero lì con Raimo, la sua giacchetta nera e la sua cravatta spettinata a chiedergli: “Ma Pasolini, che lo vediamo sempre nelle foto con maglie da calcio e calzoncini e scarpe da football no? Non è che i ragazzi tra poco penseranno fosse un campione di calcio?” e così s’è creato il gelo. Raimo mi ha guardato da dietro i suoi occhiali, col suo sguardo disilluso, un po’ cinico, certamente sarcastico ma non ha risposto.

A me la pizza fa spesso schifo, perché è indigesta nella maggior parti delle pizzerie italiane. Forse quella sera non stavo digerendo bene. Di solito la prendo semplice, senza mozzarella, perché sulle pizze mettono quei cubetti di roba bianca che chiamano “mozzarella” ma che invece è un succedaneo non ben identificato. Ripeto: Raimo mi ha guardato perplesso e non ha risposto. Io ho ripensato, perplesso a mia volta, alla domanda su PPP. Chissà se a breve qualcuno penserà si trattasse di un calciatore; ma dal suo osservatorio privilegiato Raimo sembra avere fiducia nei ragazzi delle scuole. Fiducia. Certamente si fida di più dell’avvenire per questi ragazzi che del presente di, che ne so, Capezzone o Luttwak. Raimo facce soggna’!


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