Il dogma dell’eccezione
Lanciamo uno sguardo ad alcuni recenti e autorevoli studi e ad alcune notizie che sintetizzo in modo estremo (per chi volesse approfondire i temi elencati, le fonti sono linkate):
1. La malattia covid-19 si può curare a casa, con ottimi risultati, evitando nella stragrande maggioranza dei casi l’ospedalizzazione, con il farmaco più banale: l’aspirina (o altri comunissimi antinfiammatori che – lo sottolineo – deve prescrivere il medico). Link
2. All’aperto non c’è contagio: 1 caso su 1000. Link
3. Toccando una superficie contaminata la possibilità di contagiarsi è nulla: 1 possibilità su 10.000. Link
4. La scuola non è un amplificatore del contagio. Link
5. I bambini non si ammalano di covid-19 grazie alla loro familiarità con altri coronavirus, cioè grazie al loro essere sudici e promiscui, non grazie all’ossessione igienista. (Oppure, detta al contrario: se gli adulti sono molto più deboli e vulnerabili dei bambini, è perché sono più ripuliti e schizzinosi, e si tengono bene a distanza l’uno dall’altro). Link
6. La carenza di vitamina D (che si determina stando chiusi in casa senza esposizione al sole) comporta un più alto rischio di sviluppare una forma grave della malattia. LinK 1 Link 2
7. Un positivo individuato con più di 25-30 cicli amplificazione non si ammala e non infetta: cioè è un individuo sano. Però in Italia i laboratori arrivano a oltre 40 cicli e solitamente non dichiarano il numero nel referto, perché non gli viene richiesto. Per cui, nei conteggi che descrivono le dimensioni del problema e determinano il livello di allarme e le restrizioni, un positivo trovato con 10 cicli vale quanto uno trovato con 45. Link
8. Stare a stretto contatto con un malato di covid può far contrarre la malattia, certo: ma, anche dove non ci sia alcuna infezione, può far sviluppare l’immunità. Link
9. Non fare (non avere fatto negli ultimi due anni, per la precisione, quindi l’anno pandemico più il precedente) regolare attività fisica aumenta del 73% il rischio di finire in terapia intensiva, se si contrae il covid. Link
1o. Chi in Europa decide in materia di vaccini (efficacia, sicurezza, limiti), ne autorizza l’uso (in via emergenziale), processa i dati della farmacovigilanza in Europa, è un ente finanziato per oltre l’80% dalle aziende farmaceutiche, comprese quelle che producono i vaccini stessi. Le quali, a rigor di logica, dovrebbero avere tutto l’interesse a negare che covid-19 sia una malattia che si può trattare con i farmaci più comuni (così torniamo al punto 1). Link
Per completare il quadro, a questi studi aggiungo che molte delle mascherine che circolano in Italia sono perfettamente inutili. Comprese molte di quelle che ognuno di noi porta da mesi, illudendosi di essere protetto e comportandosi come se lo fosse (quanto aveva ragione Tegnell!). Comprese quelle che portano e hanno portato per mesi medici, infermieri, personale sanitario, operatori delle Rsa – che quindi è come se non avessero avuto nessuna protezione, e ci si stupisce dei focolai che hanno incendiato e fatto vittime nelle residenze per anziani in tutti i mesi passati. Su questo tema scrive candidamente Repubblica: “I lotti in oggetto, del resto, sono stati validati dal Cts, chiamato, col supporto dell’Inail, a verificare la certificazione presentata da produttori cinesi e importatori. Nelle fasi più dure della pandemia, non c’era tempo di sottoporre il materiale a test intensivi. In deroga alla normativa Ue, quindi, abbiamo lasciato entrare di tutto. Quel tutto che poi è finito sul viso del personale sanitario in prima linea contro il Covid.” Link
Una cosa deve essere molto chiara: ciò che ha permesso di operare “in deroga a ogni disposizione vigente” è la dichiarazione di stato di emergenza. Che non è aiutato a risolvere il problema, ma lo ha ingigantito, e probabilmente ha determinato una strage nella strage.
Qualche considerazione:
Le reali specificità della malattia, gestibili almeno in parte nei modi tradizionali, sono stati negati preventivamente in nome di una eccezionalità della malattia che per qualche ragione doveva necessariamente essere assoluta. Da qui la metafora della peste o della guerra. Questo processo mitopoietico si è spinto al punto da far ritenere che la malattia potesse essere gestita solo da militari e rianimatori. Qualcuno deve avere ritenuto che decidere di affrontare un mito invece di un fenomeno naturale fosse una forma di estrema cautela, di avvedutezza. Oggi osserviamo che pezzo dopo pezzo quel mito viene decostruito dai dati forniti dalla scienza. E parallelamente vediamo che singoli aspetti di quel mito, non avendo portato alcuna utilità nella gestione dell’epidemia (perché si basavano su congetture sbagliate e immotivate), hanno determinato devastazioni e tragedie immense, ancora non quantificabili: una quantità enorme di decessi, covid e non covid, evitabili; la sospensione, posticipazione o cancellazione della attività ordinarie di prevenzione, assistenza e cura per milioni di persone; la distruzione irreversibile del tessuto socio-economico; un trattamento configurabile come tortura – in larga parte inutile – riservato a una intera generazione, quella dei nostri figli, dei minori, coloro che hanno il diritto di essere maggiormente tutelati. Diritto a cui corrisponde un dovere inderogabile per gli adulti, che invece è stato ampiamente derogato. Fa parte dello stesso mito della peste e della guerra il convincimento che solo un vaccino, da ottenere in tempi vertiginosamente compressi e con modalità straordinariamente approssimative, possa farci uscire dall’incubo.
(Della frase precedente sottolineo il “solo”: perché non sono contrario ai vaccini, anzi sono favorevole; ma sono contrario alle mistificazioni, al dominio del business, ai conflitti di interesse presentati come “quello che dice la scienza”, al credito di fiducia accordato ad aziende con un impressionante passato criminale, alla dabbenaggine dei “non c’è problema” pronunciati da vari scienziati, che presuppongono che i protocolli rituali siano inutili orpelli. In altre parole sono per la scienza: che è altra cosa dalla battaglia di simboli e deformazioni funzionali che ormai da un anno fa da fondale alle nostre esistenze. E, in un’epoca di vertiginose innovazioni e trasformazioni, sono per la salvaguardia del principio di cautela posto dalla bioetica, senza deroghe).
E insomma, per chiudere il discorso: noi, alla fine della storia, a chi chiederemo conto dei danni bellici, delle decine di migliaia di morti covid e non covid evitabili, della resistibile saturazione degli ospedali, dello snaturamento psicologico, degli aberranti precedenti politici e giuridici (di cui qualcuno farà “buon” uso in futuro, c’è da starne certi), della devastazione economico-sociale, del colossale trasferimento di ricchezza verso pochi multi- miliardari, del biblico indebitamento dei nostri figli, della violenza contro i bambini, che se a scuola si scambiano una matita vengono mortificati e puniti, sistematicamente impediti nelle pulsioni del loro sviluppo naturale?
Ma poi: avremo la voglia e la forza di chiedere conto di qualcosa a qualcuno, in nome di quello che abbiamo perso, in nome delle persone che non ci sono più, in nome della tutela dei nostri figli? Oppure, alla fine, tireremo prima un sospiro di sollievo, e subito dopo una riga dritta, pronti a ricominciare, contenti di quel fondo di barile, morale prima che economico, di quel deserto in cui ci troveremo?
Carlo Cuppini è autore, redattore editoriale, organizzatore culturale. Dal 2018 è responsabile di Bottega Strozzi, bookshop di Marsilio presso Palazzo Strozzi. Ha pubblicato un romanzo (Il mago, finalista premio Campiello Giovani, Marsilio 1998), un libro di poesia (Militanza del fiore, Maschietto 2011, prefazione di A. Sofri), una raccolta di racconti Il mondo senza gli atomi (Ensemble 2018). Di prossima pubblicazione una nuova raccolta poetica e un racconto fantastico per bambini. Articoli, saggi, poesie e racconti sono usciti su riviste e blog letterari tra cui “Alfabeta2”, “Culture Teatrali”, “Latinoamerica”, “Cultura Commestibile”, “Nazione indiana”, “Absolute Poetry”, “Poetarum Silva”, “Poesia2.0”. Su invito dell’Associazione Parenti delle Vittime della strage di Ustica nel 2011 ha scritto il poemetto Cinque quadri per Ustica (e una ninnananna) (2011).