L’anti-sessismo e la dissennata censura dei seni al vino rosso
Ci ha messo meno di ventiquattr’ore la censura ideologica a far sparire la pubblicità progresso della Regione Sicilia rivolta alle donne contro l’eccesso di alcol. Accusa: sessismo.
Ventiquattr’ore durante le quali abbiamo assistito su Facebook al crescendo rossiniano delle motivazioni. Vediamole insieme, dalla più ingenua alla più assurda.
La prima: la campagna è sessista perché rappresentare una donna mostrandone le tette è offensivo. A parte che non è detto, mi verrebbe da rispondere: ma è un disegno! E poi sono bicchieri! No, sono tette a forma di bicchiere. E se invece fossero bicchieri a forma di tette?
La tecnica usata in questo cartellone ha un nome: reificazione, cioè trasformazione di parti del corpo in oggetti. Un espediente creativo ampiamente usato nell’arte, uno per tutti, Arcimboldo. L’immagine poi, di volgare non ha nulla. Anzi, a mio parere è elegante, originale, creativa. Ad altri può non piacere, si entra nel gusto personale. Ma di certo non è offensiva. Tutt’al più potrebbe ottenere l’effetto contrario, mettere voglia di bere un bicchiere di vino, sì, ma agli uomini. Che sono fuori dal target, e in più hanno una soglia alcolemica maggiore. Quindi tutto bene.
In base alla seconda motivazione, la campagna è sessista poiché indirizzata solo alle donne, con particolare riferimento ai danni da alcol durante gravidanza e allattamento. Come se non fosse noto che le pubblicità targhettizzate sono più efficaci. Come se non si facessero campagne per segnalare, ad esempio, che il fumo provoca impotenza negli uomini. Perché piaccia o no, e nessuno crede più di me nella parità tra i sessi, le differenze biologiche esistono.
E qui veniamo al terzo punto: la campagna è sessista perché non c’è motivo per cui una donna debba bere meno di un uomo. Altrove l’argomentazione potrebbe avere un senso, non dobbiamo per forza essere brave ragazze. In questo caso però, proprio la scienza parla chiaro: per ragioni enzimatiche che non sto ad approfondire, a parità di bevande alcoliche ingerite, la donna raggiunge un livello di alcolemia circa doppio rispetto all’uomo. Ok, che sfiga. Però è così. Poi, ognuna può decidere liberamente di spappolarsi il fegato bevendo quanto il compagno, ma la Sanità ha il dovere di informare.
La quarta motivazione è che questa pubblicità non spiega a fondo il problema, ma attira solo l’attenzione con un’immagine accattivante. E a maggior ragione trattandosi di un ente pubblico e non di un’azienda privata, bisogna essere più seri. Ma quale utente web perderebbe tempo a leggere tabelle corredate di informazioni scientifiche? È noto quanto il marketing emotivo sia più efficace di quello descrittivo, sono meccanismi psicologici inevitabili. D’altra parte, una pubblicità che non suscita interesse è inutile, mentre dalla curiosità può nascere la voglia di approfondire. Poi chi ha deciso che un messaggio di utilità sociale debba essere necessariamente noioso?
Infine la quinta motivazione, messa in campo dalla sociologa Elisa Giomi, studiosa di tematiche di genere, parte dal fatto che la donna nell’immagine ha gli occhi chiusi. È sensuale, ma sembra morta. Questo porterebbe a un’eroticizzazione della violenza. In pratica, tra le righe, anche questa pubblicità, teoricamente a tutela delle donne, promuoverebbe il femminicidio. Io ammiro sempre l’immaginazione estrema. La visionarietà. Amo la fantascienza. A tratti, mi affascina anche la follia pura. Per questo, al riguardo, non dirò altro: osserverò un silenzio attonito e denso d’ammirazione.
Alla fine dei conti, il problema non è che questa pubblicità non piaccia a tutti. Criticare è sempre lecito. Invocare la censura è già discutibile. Ottenerla è inammissibile. Perché queste forme di femminismo ottuso e isterico non potranno che trascinare sempre più nel ridicolo un problema, quello del sessismo, che invece ancora esiste. E provocare una pericolosa ondata di reazione.
E poi, quando avremo eliminato qualsiasi cosa possa provocare il minimo fastidio a chicchessia, di che parleremo, davanti a un bicchiere di vino? O forse non ci sarà più nemmeno il vino, e si berrà solo acqua al sapore di amuchina? Che tutto sia sempre perfettamente disinfettato! E la berremo solo in bicchieri troncoconici, che ogni forma tondeggiante sia abolita, potrebbe offendere qualcuno! Sarà il trionfo dell’igiene, del decoro, e scenderemo muti nel gorgo della noia.
Viviana Viviani è nata a Ferrara nel 1974 e vive a Bologna. È ingegnere. Ha pubblicato racconti su varie antologie. Giornalista pubblicista, ha scritto sulla rivista on line LucidaMente e oggi scrive su Pangea News e Hic Rhodus. Nel 2012 è stata finalista del premio Giallo Mensa di Mondadori e nel 2013 ha pubblicato il romanzo “Il canto dell’anatroccolo”, con Corbo Editore, nella collana di Roberto Pazzi. Nel 2018 il suo progetto di scrittura multimediale “Penitenziagite – Un cadavere nella rete”, scritto a quattro mani con l’amico Stefano Machera, è arrivato in finale al Macchianera Awards tra i siti letterari. Ha appena pubblicato la silloge poetica “Se mi ami sopravvalutami” con Controluna – Il seme bianco.
Condivido ogni sillaba …
Viva le tette!
Ancora ad usare le tette per attirare l’attenzione. Ingegnere, faccia la cortesia. Ad ognuno la sua, professione.
Condivido pienamente la critica a queste “esperte” ch si arrogano il diritto di definire e giudicare ciò che a loro dire è sessista o meno. Stanno diventando fastidiose. Guardassero un pò la realtà a parti invertite, forse si accorgerbbero che la società in cui viviamo è certamente intrisa di sessimo, ma verso gli uomini.