Il mistero Henri Pick all’italiana: da Mariella Prestante a Babsi Jones, da Elena Ferrante a Monica Rossi
Questa è la prima puntata di un’imperdonabile indagine sul rapporto fra testo e contesto, romanzo e biografia, che Viviana Viviani condurrà per imperdonabili.org alla ricerca dell’identità (letteraria) perduta.
C’è un piccolo gioiello in questi giorni nelle sale, incastonato tra film natalizi più o meno perdibili: si tratta de Il mistero Henri Pick – trasposizione dell’omonimo romanzo di David Foenkinos – che sfrutta il meccanismo del giallo sostituendo alla domanda «chi è l’assassino?» la più insolita «chi è l’autore del best seller?».
Ambientato tra Parigi e la Bretagna, narra della “Biblioteca dei manoscritti rifiutati”, luogo ameno in cui ogni aspirante scrittore può depositare il proprio capolavoro incompreso. Proprio qui un’ambiziosa editor scoverà il best seller dell’anno, firmato da Henri Pick, pizzaiolo ben poco acculturato morto qualche anno prima. Chi avrebbe mai potuto supporre la sua passione segreta per la scrittura? Ma Jean-Michel Rouche, critico letterario messo ai margini del sistema a causa delle sue recensioni troppo sincere – un Imperdonabile ad honorem, potrebbe essere il leader del movimento francese Les Impardonnables, quando nascerà – intuisce qualcosa di strano e decide di indagare.
Ogni aspirante scrittore dovrebbe vedere questo film o leggere il romanzo, e non solo per l’ironia arguta con cui seziona l’ambiente letterario, il marketing spietato degli editori, i sogni infranti degli esordienti, i manoscritti dai titoli improbabili (uno tra tutti, Il sushi e l’arte della masturbazione), ma perché la vicenda narrata può rivelarsi profetica di quanto avverrà nei prossimi anni e in parte già sta avvenendo.
Perché quello del pizzaiolo Henri Pick forse è anche un buon libro, ma non diventa best seller per questo. Ci riesce grazie alle numerose metanarrazioni che si addensano intorno all’autore e all’opera: il mito del capolavoro incompreso dagli esperti, una casta letteraria i cui rifiuti sono percepiti sempre più come medaglie; la leggenda del talento nascosto nell’uomo comune, persino ignorante, lontano dalla cultura strutturata e proprio per questo abitato da un talento purissimo; l’utopia dell’autore geniale cui nulla importa del successo, che scrive in segreto e non ambisce ad altro se non, forse, alla gloria ultraterrena, nel paradiso dei best seller postumi.
L’espediente del manoscritto ritrovato o del falso autore, da Manzoni a Tarabbia, vanta esempi innumerevoli: Pessoa faceva largo uso di eteronimi, Borges citava libri che esistevano solo nella sua mente, Romain Gary, grazie a un falso nome, riuscì addirittura a vincere due volte il Premio Goncourt. Qui però si va oltre, si trasporta la finzione fuori dalle pagine del libro.
Se ci guardiamo intorno, questo scenario non è così improbabile. Già con Paolo Giordano e il suo La solitudine dei numeri primi: la storia di un giovane ricercatore di fisica che quasi per caso incontra una collaboratrice Mondadori e arriva fino al Premio Strega, sedusse le fantasie dei lettori, prima ancora del romanzo in sé.
Basta pensare a quanto mistero si è sviluppato intorno all’identità di Elena Ferrante, un giallo poi svelato da un colpo di scena poco interessante, in seguito a un’indagine quasi meschina sui diritti d’autore di Anita Raja, ma che non ha posto fine alla curiosità per questo fenomeno editoriale.
E basta vedere con quale frequenza i libri scritti dai “famosi per altro” – star del gossip, calciatori, imputati assolti per insufficienza di prove – scalano le classifiche, per capire quanto l’interesse sia veicolato dalla curiosità per il personaggio-autore molto più che per il testo.
Ma chi “famoso per altro” non è e non può diventare? Oggi molti autori costruiscono giorno per giorno sui social l’autofiction della propria opera. Narrano la gioia dell’ispirazione, poi la crisi dell’ispirazione, poi di nuovo la gioia della ritrovata ispirazione, poi la speranza di pubblicare, la buona notizia, la firma del contratto, la copertina, le prime recensioni, che siano del grande critico o del cugino blogger. Ma spesso i social non riesco a far uscire da una ristretta cerchia, quindi che fare? Si può creare una narrazione esterna al libro, una vera e propria mitografia. In quella parte del paratesto che gli esperti chiamano epitesto, fa quindi il suo ingresso ufficiale il romanzo del romanzo, o il romanzo dell’autore, o entrambi.
È scorretto mentire al lettore? Eppure la narrativa è tutta finzione, perché non dovrebbe esserlo anche l’autore? Il rischio è che la scrittura in sé venga sempre più messa da parte, diventi fatto collaterale, semplice accessorio dell’imago? Ci adegueremo anche a questo, purché sopravviva.
Nel 2013 nacque da uno schizzo di genio di Giulio Mozzi la poetessa erotica Mariella Prestante, nell’ambito del contest “Lodi del corpo maschile”, sul blog Vibrisse. Con questo alter ego, Mozzi raggiunse vertici di sensualità femminile inarrivabili per il suo mero lato maschile. Mariella a un certo punto morì, ma continuò a scrivere versi macabri su Facebook, dall’aldilà, finché il suo padre letterario, che ormai non poteva più rinunciare a lei, la fece tornare come “rediviva”. Oggi è finalmente edita.
Se Mariella Prestante fu un gioco ironico e raffinato, svelato dall’autore quasi subito, J.T. Leroy si rivelò invece una vera e propria truffa poiché firmava addirittura i contratti di edizione con un falso nome. “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa”, ma una scrittrice determinata ad avere successo può esserlo molto di più. Laura Victoria Albert a quanto pare temeva che una madre trentenne non sarebbe stata presa in considerazione, come autrice di storie di violenza e degrado. Così inventò un autore più credibile, un vero adolescente ribelle, e si nascose per anni dietro a una figurante in parrucca bionda e occhiali da sole che si fingeva a sua volta un ragazzo. Un contesto abbastanza assurdo, ma forse a volte quel che si vuole è proprio essere ingannati.
Anche in Italia, qualcuno ricorderà, nel 2007, il caso editoriale Sappiano le mie parole di sangue, ambientato durante la guerra in Kosovo, promosso in termini entusiastici da Giuseppe Genna e firmato dall’autrice Babsi Jones. Di questa donna, dal nome chiaramente inventato, restano tutt’ora in rete immagini e audio, eppure dopo quell’unico libro scomparve nel nulla, tanto da generare sui social (allora agli albori) il tormentone “Che fine ha fatto Babsi Jones?”. Si fecero varie congetture sulla sua vera identità di scrittrice, fu nominata al riguardo anche la nostra Imperdonabile Veronica Tomassini. Chi pensò invece al suo pigmalione Giuseppe Genna, che all’epoca collaborava con Rizzoli, forse non osò pronunciarsi. Ora, a più di dieci anni di distanza, il caso è freddo, ma come nella famosa serie TV, forse sarebbe interessante riaprirlo. Chi ha elementi, li produca!
Intanto un nuovo mistero si fa strada nell’ambiente letterario italiano odierno. Si tratta di Monica Rossi, potente editor in incognito. Che sia anche questo un segno del declino delle figure autoriali, il fatto che ormai non si giochi più con le loro identità, ma con quelle dei ben più influenti editor? Intanto Rossi, dichiarato prima donna poi uomo, ex donnaiolo redento da un grande amore, tiene le file dell’editoria e al tempo stesso ne svela su Facebook i meccanismi segreti, il tutto mentre combatte una grave malattia e trova il tempo anche per compiere opere benefiche. Tanti azzardano nomi, dichiarano di sapere chi è ma non poterlo rivelare, bluffano, c’è persino chi per scoprire la sua identità gli fa causa alla Postale. Su FB risulta milanese, ma gli indizi portano in Veneto. Si dice membro di associazioni ad alto QI, e la sezione investigativa del Mensa Italia è già in azione.
Il mio sogno è che sia davvero una donna, come si credeva inizialmente, oppure un geniale impiegato delle poste, e non un banale “ben inserito” come la Ferrante.
In ogni caso, il personaggio è affascinante. Se domani uscisse l’opera prima di Monica Rossi l’interesse sarebbe notevole, il successo preannunciato.
“Il mistero Monica Rossi” è già il nostro “mistero Henri Pick”. Il libro vero e proprio, elemento ormai accessorio, qualcuno lo scriverà. L’editor già c’è. Scrittori, ne abbiamo fin troppi.
*** *** ***
Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.
Viviana Viviani è nata a Ferrara nel 1974 e vive a Bologna. È ingegnere. Ha pubblicato racconti su varie antologie. Giornalista pubblicista, ha scritto sulla rivista on line LucidaMente e oggi scrive su Pangea News e Hic Rhodus. Nel 2012 è stata finalista del premio Giallo Mensa di Mondadori e nel 2013 ha pubblicato il romanzo “Il canto dell’anatroccolo”, con Corbo Editore, nella collana di Roberto Pazzi. Nel 2018 il suo progetto di scrittura multimediale “Penitenziagite – Un cadavere nella rete”, scritto a quattro mani con l’amico Stefano Machera, è arrivato in finale al Macchianera Awards tra i siti letterari. Ha appena pubblicato la silloge poetica “Se mi ami sopravvalutami” con Controluna – Il seme bianco.