Perché Tondelli non era uno “scrittore gay” né un militante, ma si definiva “un monaco”.
La viva voce dello scrittore di Reggio Emilia, l’indimenticato autore di Camere separate, in una traccia audio inedita
Si è discusso a lungo, non molto tempo fa, dell’unione civile tra due donne della Marina Militare come di una sorta di antidoto al congresso mondiale delle famiglie di Verona, perché la circostanza avrebbe rappresentato la forza della modernità anche in seno a un’istituzione tradizionalista come l’esercito. Io invece ho visto, nell’immagine rilanciata dai social, soprattutto due militari che si sposano col picchetto d’onore e la passerella di spade, ossia il trionfo di un modello tradizionalista e conservatore.
Comunque la si pensi, sono lontani i tempi della follia gioiosa e liberatoria, esistenzialmente antifascista di Almodovar: oggi il sogno di alcune coppie omosessuali pare essere quello di uniformarsi quanto più possibile al gregge, per esempio sposarsi e avere dei bambini; un sogno di conformismo disneyano. E con questo voglio dire che l’omosessualità non rappresenta più da molto tempo una forma di «irriducibile diversità», tanto che si fa ormai fatica a parlare di «movimento omosessuale»: non c’è nessun «movimento di opinione» perché nessuno aspira più a «diventare gay» per protesta contro un sistema; le persone omosessuali, questo sistema, l’hanno interiorizzato al punto da volerci aderire nelle forme e nei modi più canonici. Lo sostiene, per esempio, il recentissimo libro Pelle Queer Maschere Straight di Antonia Anna Ferrante (Mimesis Edizioni, 2019), laddove si dice che il cosiddetto mainstream, nel quale tutti si vogliono riconoscere, produce «da una parte l’irruzione di personaggi fuori dallo schema bianchezza-bellezza-eterosessualità, dall’altra il trascinamento di peso delle singolarità degli individui e delle performance dei generi verso la normalizzazione». E poi l’autrice si domanda «se il mantenimento di un punto di vista eccentrico, e quindi capace di visione critica è ancora possibile dentro lo spazio normato da quelle sigle (LGBT*QI… etc) che sanciscono uno spazio assegnato a ciascuno». Risuonano qui, ovviamente, determinate considerazioni che permeano l’opera di Pier Paolo Pasolini, soprattutto quella giornalistica degli Scritti corsari, e che anticipano l’intero campo d’indagine successivo sul tema.
L’operazione che fece lo scrittore di Correggio (Reggio Emilia) Pier Vittorio Tondelli nel 1982, quella – all’epoca eversiva – di trasformare il servizio di leva obbligatorio e la severa istituzione militare in un teatrino sexy del «Bolscioj» nel romanzo Pao Pao, oggi, in Italia, non avrebbe più senso poiché l’omosessualità è diventata un fatto personale tra gli altri, proprio come la pensava Freud: una «nevrosi infantile» in cui si nasce e non ci si diventa perché è (o meglio era, ma con molti dubbi e non detti) una malattia psicologica di cui, al limite, si scopre la «latenza». Dunque bisogna “accettare” l’omosessualità come un’anomalia non invalidante e non contagiosa – per esempio per la costruzione di una famiglia e l’adozione dei figli –, guai a parlare di “diversità”. La diversità “esteriore”, nella dimensione universale e uniforme del mercato e della tecnica, non deve esistere se non come «articolazione della domanda» tra soggetti diversi ma assoggettati alle stesse leggi, una diversità che non contamina perché è stata svuotata di ogni dissenso e asperità per diventare il più possibile simile allo standard. Anche la scienza medica si è adeguata, evitandoci per il momento i trattamenti manicomiali del passato e il mercato dei farmaci per curarla: l’Oms ha tolto l’omosessualità dal novero delle malattie mentali nel 1990; adesso la definisce una variante naturale del comportamento umano, sebbene qualche ricerca venga ancora compiuta per cercare, mentre la si nega a parole, la causa presunta della variabilità.
Questa selvaggia premessa era indispensabile per cogliere l’attualità profetica delle parole di Tondelli e pubblicare qui, per la prima volta, il podcast audio originale (circa 40 minuti) dell’intervista che Gianni De Martino, autore di Hotel Oasis (1988) per la collana “Mouse to mouse” di Mondadori diretta dallo stessso Tondelli, gli fece per la rivista “Gai Hedbo Pied” nel gennaio del 1987. L’intervista a “Gai Pied” ( G.H.P. n.279/11 juillet 1987) apparve con il titolo: “Tondelli, loin des couilles de tout le monde”. Tondelli, fuori dai coglioni di tutti (tra poco potremo capire un po’ meglio il perché di questo autoaffondamento protestatario). De Martino realizzò l’intervista nella casa di Milano dell’autore di Camere separate, in via delle Abbadesse. La citazione che segue, in corsivo, riprende il contenuto di un ricordo di quella giornata e le informazioni che l’autore dell’intervista mi ha inviato via email nel luglio del 2008, quando ebbi l’occasione di ricevere la versione digitale della traccia registrata su nastro. Gli scambi successivi alla citazione in corsivo contengono invece la mia traduzione della parte iniziale dell’articolo pubblicato in Francia e lacerti di una “conversazione interiore” tra De Martino e Tondelli, come mi è pervenuta dall’autore dell’intervista.
L’incontro con Tondelli è avvenuto nel gennaio del 1987, nell’imminenza dell’uscita in Francia, presso l’editore Seuil, della traduzione francese di Altri libertini, che da noi Feltrinelli aveva pubblicato nel 1980. Collaboravo da Milano alla redazione di Gai Pied, mensile allora diretto da Franck Arnal e da Hugo Marsan, che mi avevano chiesto d’intervistarlo. Tondelli si era da poco trasferito a Milano, in via delle Abbadesse. Il 1986 francese, con il ritorno degli studenti e dei disoccupati nelle strade e nelle piazze sembrava avere le stesse caratteristiche sociali del ’77 italiano, perché in Francia c’erano dei fermenti che potevano perlomeno ricreare certe condizioni in cui Altri libertini era stato scritto sette anni prima. Ad esempio quella grossa entrata in scena dei giovani, che sembravano muoversi secondo un altro ritmo, quello del desiderio e della libertà. Era questo il dato che costituiva meglio il racconto. In Altri libertini si parla di università, si parla di giovani, ma soprattutto si parla di una condizione giovanile che non offre molti sbocchi ed è anche abbastanza tragica in alcuni episodi. Insomma, un momento abbastanza giusto perché uscisse in Francia, dove già era uscito Pao Pao nel 1985. D’altra parte ricordo che Tondelli – che nel frattempo aveva già scritto Rimini e Biglietti agli amici e già preparava Camere separate – si trovava un po’ imbarazzato a parlare di quel libro e dover ripiombare in quelle storie, in quell’ universo testuale… Sette anni sembravano tanti per Tondelli. Aveva allora 32 anni e diceva che sette anni, colti fra i ventidue ventitré e i trenta, producono notevoli scarti all’interno della propria personalità. Quello che colpiva era questa attenzione al tempo – credo che sia una caratteristica di certi scrittori, perlomeno dei più decisivi – e l’accenno all’interiorità. In quell’occasione mi disse di essere stato molto colpito dalla lettura del Trentesimo anno della Bachmann e di essere interessato alla lettura di Isherwood, gli sembrava straordinaria la tranquillità e la grazia con la quale questo scrittore parlava del mènage con il suo amante, durato trent’anni… Eravamo già lontani dalle turbolenze di Altri libertini. Caso raro tra gli scrittori italiani, che in genere hanno anche un altro mestiere, Pier viveva di scrittura, anche di collaborazioni a numerose testate. Cosa che gli pesava un po’, avrebbe voluto vivere una vita di riflessione, più ritirata. Diceva: non voglio che la mia attività letteraria diventi un’azienda… Forse per questo amava pubblicare anche con i piccoli editori, oppure lavorare con realtà editoriali più grandi e complesse come la Bompiani o la Mondadori, ma in maniera, diceva, artigianale, fra amici. Aveva il senso dell’amicizia e una generosità soft – come sanno coloro che hanno collaborato con lui, una generosità “davvero tipica e unica”, come osservava Arbasino. Pier, così sensibile e riflessivo, sembrava nato apposta per scrivere. A me sembrava un monaco, e forse lo era veramente perché la dedizione al suo lavoro e anche a quello dei giovani scrittori, era tale da farmi dire che egli era entrato in letteratura come si entra in convento… Non a caso, l’intervista a “Gai Pied” apparve con il titolo: “Tondelli, loin des couilles de tout le monde”… Tondelli preparava un tè e diceva di sentirsi come “un monaco” e di voler restare “fuori dai coglioni di tutti”. Ricordo che parlammo anche del movimento gay italiano passato da qualche anno in strutture organizzate politicamente dal Pci, in termini piuttosto critici: i ragazzi di “Pao Pao” erano personaggi letterari, non riducibili a “gay commilitoni” o alla rivendicazione politica omosessuale del “diritto omosessuale” di non fare il militare perché “omosessuali”. Certo, l’omosessualità era un problema, ma, sosteneva Tondelli, “per chi se ne fa un problema”. Più in generale eravamo d’accordo sul carattere piccolo-borghese del movimento gay e sull’“errore gay” di considerare l’omosessualità come categoria sessuale distinta dalla maschilità eterosessuale. Insomma, Tondelli non era uno “scrittore gay”, né tantomeno un “militante gay”. Evidentemente il desiderio, compreso quello dei suoi ragazzi, non era una cosa semplice. Direi che il suo desiderio di scrittore non era riducibile alla gestione “ottimale” dei bisogni, come si diceva nel linguaggio politico di quel periodo. Continuo a pensare che il lavoro di Tondelli non abbia niente a che fare con la “militanza gay”. E questo per un motivo molto semplice, che ci viene ricordato anche da nonna Lessing: “Mettersi al servizio di una causa distrugge la bellezza della letteratura”. Tondelli era entrato in Letteratura come si entra in convento, voleva onorare i suoi desideri e i suoi voti. E, portatore di tanta dolcissima dinamite, non poteva non sapere che “i manifesti uccidono la letteratura”.
Gianni De Martino, Un amico da ricordare
De Martino: «Ho incontrato Pier Vittorio Tondelli nel suo appartamento di Milano, dove si è trasferito da qualche mese, lasciando i portici di pietra rossa di Bologna; 32 anni, incredibilmente alto, ha però ancora l’aria di un ragazzo, come gli eroi intrepidi e sublimi dei suoi primi romanzi: Altri libertini, che rivela una nuova generazione combattiva, e Pao Pao, cronaca tenera e buffa di una piccola banda di amici e dei loro incontri sexy durante il servizio militare… Rimini, l’ultimo libro, racconta le turbolenze e gli intrighi della coloratissima fauna delle spiagge dell’Adriatico, così che la storia d’amore di due uomini viaggia a un ritmo rapidissimo, alla Rossini! Lo scrittore Nanni Balestrini ha detto che il 1986 francese somiglia un po’ al 1977 italiano, quando ci fu una rottura drammatica tra i giovani e lo Stato. Proprio in questo clima è apparso il tuo libro, Altri libertini, che è stato il tuo romanzo d’esordio e che uscirà in Francia questo autunno presso Seuil.» Incipit dell’intervista su “Gai Pied” ( G.H.P. n.279/11 juillet 1987)
Tondelli: «Se noi ragioniamo da un punto di vista molto libertario, da uomini del Duemila come dovremmo essere, il fatto dell’omosessualità non è di per sé una caratteristica di diversità. Io vedo molti omosessuali che si comportano esattamente come tanti eterosessuali. Credo che la diversità sia qualcosa di molto più profondo, di molto più interiore, che dipenda più dalla storia di ognuno, più dal proprio carattere, dalla propria vicenda umana. Il discorso parte sempre da sé, non si può delegare, demandare all’esterno, è una cosa che viene da noi. Certo, c’è una diversità che viene anche imposta dalla società… e in questo senso io volevo dare dei contenuti, nel libro… Non dico di battaglie civili, però di tener presente che dopo tutto ci sono anche delle cose che non vanno, che l’atteggiamento generale non è poi di grande comprensione.» Tondelli, stralcio dell’intervista su “Mucchio selvaggio” (n. 169/92)
Quanto segue è frutto di una rielaborazione di De Martino in forma di “intervista impossibile“, seguito ideale di una conversazione a distanza con il suo mentore.
De Martino: «Ora, se la diversità è più un connotato “interno” che “esterno” alla persona, perché diventare gay?»
Tondelli: «Dire che non si “diventa” ma si “nasce” gay è fare un torto a tutti coloro che lo sono diventati per “protesta”. L’importanza del movimento gay sta appunto nella capacità critica di rimettere in discussione il formalismo, il perbenismo dei rapporti di coppia eterosessuali che si vivono nelle società borghesi. In tal senso il movimento non è che una prosecuzione della critica freudiana (contro le stesse intenzioni di Freud, che equiparava l’omosessualità a una forma di nevrosi infantile). Se si toglie a tale movimento la “diversità” esteriore (che pur partiva da una riflessione interiore), cioè l’aspetto più propriamente eversivo, cosa ne resta?»
De Martino: «Al di fuori di qualunque forma contestativa, è evidente che la sostanza dei valori sta nell’interiorità della persona. Ma questo vale per chiunque… Dunque perché diventare gay?»
Tondelli: «Se togliamo il movente della critica antisistema e valorizziamo l’individuo per quello che è, si finisce col tornare alla classica risposta freudiana: uno diventa gay perché ha dei problemi personali, che si trascina dall’infanzia o dall’adolescenza o che, in ogni caso, non è riuscito a risolvere nel momento in cui gli si sono posti di fronte (e Freud qui aggiungerebbe, sbagliando, che l’incapacità era dovuta al fatto che l’omosessualità era già latente ecc. ecc.). La domanda in sostanza è: se uno ha dei “problemi personali”, perché costruire un “movimento di opinione”?»
De Martino: «Si rivendicano dei diritti quando i problemi sono comuni. Ma che senso ha che un tale movimento rivendichi il diritto di appartenenza a una società i cui valori (relativi al rapporto di coppia eterosessuale) non vuole condividere? Non esiste forse il rischio che i gay vogliano ritagliarsi una fetta di spazio sociale per giustificare non la loro contestazione, bensì il loro arbitrio, il loro non-conformismo di maniera?»
Tondelli: «Un movimento veramente contestativo non può limitarsi a predicare la libertà sessuale. Essere veramente “diversi” significa uscire dai “propri problemi personali”, o meglio non fare di essi un motivo per sentirsi “diversi”. Ha forse senso circoscrivere la ricerca della soluzione dei problemi comuni entro il perimetro della libertà sessuale? Non è forse questo un modo primitivo e in fondo individualistico di affrontare il sociale?»
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Fotografia a corredo dell’artista e performer Aldo Giannotti. Titolo “Requiem”, 2006.
Aldo Giannotti was born in Italy and has been living and working in Vienna since 2000. He is curious about constructs such as personal and cultural identity, collectivity and mechan- isms of power, and often stages situations involving visitor participation. By shifting and rearranging symbols, he challenges the mean- ing of terrains and spaces such as nations, institutions and individual positions. His work has been shown at various institutions in Austria and abroad, including: Albertina, Vienna; Kunsthalle Wien, Vienna; Lentos Museum, Linz; Kunsthaus Graz; Kunsthallen Nikolaj, Copenhagen; Kunstraum Niederösterreich, Vienna; Künstlerhaus, Vienna; Künstlerhaus Dortmund; Sammlung Essl, Vienna; Bienniale of Young Artists, Bucharest; Beijing Art Bienniale; CCC Strozzina, Palazzo Strozzi, Florence; Museum der Moderne, Salzburg; Kunstsammlung des Landes OÖ, Linz; ar/ge kunst, Bolzano; MUSA, Vienna; Artothek, Munich; In Between, Austria Contemporary (BKA collection), diverse locations, Fruchthalle Kaiserslautern, Forum Stadtpark, Graz; Visual Art Platform, Austrian Cultural Forum, London; Fotogalerie Wien, Vienna; Projektraum Viktor Bucher, Vienna (Representing Gallery); Gale- ria Rosa Santos, Valencia (Representing Gallery); Galerie Laurence Bernard, Geneva. Member of the buuuuuuuuu art collective since 2011. Awards: State stipend from the Austrian Ministry of Arts and Cultural Affairs (BMUKK, 2011); Golden Lion award at the 4th International Festival of Contemporary Dance – Venice Biennale (with performance company Liquid Loft, 2008) – Winner of the blumm Prize award (Milano) www.aldogiannotti.com
Giulio Milani, nato a Massa nel 1971, muore al secolo nel 1996, quando prende i voti letterari per l’antologia Under 25 Coda nelle mani di Giulio Mozzi; rinuncerà al sacerdozio nel 2005, all’inizio accettando la direzione della casa editrice Transeuropa, poi con la nascita della prima di tre figli e l’avvio della lotta per la vita. Ha comunque curato le antologie I persecutori (Transeuropa, 2007) e Over Age. Apocalittici e disappropriati (Transeuropa, 2009) e pubblicato i romanzi La cartoonizzazione dell’Occidente (Transeuropa, 1998, n.e. Laurana, 2018), Gli struggenti o i Kamikaze del desiderio (Baldini & Castoldi, 2004), La terra bianca (Laterza, 2015). Ha intervistato lo scrittore Mario Rigoni Stern in Storia di Mario. Mario Rigoni Stern e il suo mondo (Transeuropa, 2008). Quando non era ripiegato sui suoi interessi, ha scoperto e lanciato diversi scrittori, tra cui Fabio Genovesi, Giuseppe Catozzella, Andrea Tarabbia, Demetrio Paolin, Stefano Amato. In ambito editoriale, è stato promotore e coordinatore della collana di coedizioni “Indies” di Feltrinelli e dello scaffale di tutela della bibliodiversità con LibrerieCoop; ha ideato e prodotto la collana “Wildworld” per Transeuropa. Nel novembre del 2019, ha fondato con Veronica Tomassini il movimento letterario degli Imperdonabili. I suoi ultimi libri sono il saggio storico I naufraghi del Don. Gli italiani sul fronte russo 1942-1943 (Laterza, 2017), la curatela dell’antologia di artisti, scrittori e poeti dissidenti Noi siamo l’opposizione che non si sente e il saggio storico-politico La peste e la rivoluzione (Transeuropa, 2021).
Errata corrige:
per la collana “Mouse to mouse” di Mondadori
INVECE DI “di Bompiani.”