Scrivere di quello che conosciamo per impedire che il libro si estingua

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Quando ho iniziato a creare testi scritti, ho dato forma – se stiamo al detto di Camus – al mio destino, ma non potevo certo sapere che il mio destino letterario sarebbe stato una sequela di scontri e di sconfitte. Tutto il nostro paese, anche se bello, è una sconfitta. Questo è imperdonabile, perché sono stato imperdonabilmente addestrato alla sconfitta. E io sono imperdonabile secondo una serie di individui che si sono imbattuti nel sottoscritto da quando opero nel mondo della cultura, seppure seguendo il piano B: un percorso periferico che tuttavia, va detto, mi permette di essere libero.

Sono quindi imperdonabile per il vice-sindaco perché ho volantinato una poesia dove lo accusavo di razzismo dopo che aveva inneggiato in piazza alla pena di morte per gli immigrati. Imperdonabile per il sindaco cui scrissi una poesia in merito al suo tentativo di aprire un inceneritore nel mezzo del centro abitato, e per averla donata al comitato di protesta. Imperdonabile per il direttore di un festival, da cui sono stato successivamente escluso, perché non ho voluto essere utile ai suoi interessi organizzandogli la solita compagnia di giro. Imperdonabile per aver voluto vedere con i miei occhi il muro di Orban, prima di scriverne.


Porto questi esempi per far capire quanto sia importante, per un autore come me, essere nel reale, a contatto con i territori e con le lotte quotidiane. Abbiamo troppe controfigure che scrivono di stragi che non hanno mai visto, di guerre che non hanno mai vissuto, di muri e confini che non hanno mai calpestato, di lotte cui non hanno mai partecipato. Lo fanno nel loro studiolo comodamente seduti alla scrivania, quando invece siamo da tempo giunti al punto in cui il paese ha bisogno di autori che abbraccino il conflitti e il sacrificio.

Sarà che da sempre frequento poeti che hanno frapposto il loro verso e il loro corpo tra il potere e i deboli: c’è chi c’è morto, o è finito in cella. Pochi ne vedo, in Italia, di questa specie. Un grande amico e poeta statunitense, ha scritto: «Vai al tuo cuore infranto. / Se pensi di non averne uno, procuratelo. / Per procurartelo sii sincero.» Perché di questo abbiamo bisogno oggi: di poeti e scrittori che iniettino nella loro poetica lo spirito dei sofferenti, la bellezza del sacrificio, la lotta quotidiana degli ultimi, nonché sogno e desiderio che si possono trovare solo nei loro sguardi.

La direzione della società globale non può che considerare imperdonabili questi artisti che vanno controcorrente, ancor di più quando se ne sbattono di vendere le loro opere, perché diciamolo chiaramente, le vendite non sono il motivo per cui un vero e onesto poeta o narratore dovrebbe scrivere. Scrivono per altro, per necessità, per il desiderio di esprimersi, per meditazione.

Se davvero volete essere imperdonabili e scardinare gli ingranaggi del sistema, non limitatevi a scrivere, ma mettetevi letteralmente di traverso: con i vostri testi e con il vostro corpo. Se neccesario disobbedite alle leggi ingiuste, come alle regole della scrittura. L’importante è creare terreno fertile necessario alla sopravvivenza della civiltà del libro. Tutto il resto avverrà di conseguenza.


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