Eshkol Nevo, “L’ultima intervista”. Un grido involuto di quotidianità lacerata
Tutti coloro che si avvicinano alla soglia dei cinquant’anni dovrebbero leggere L’ultima intervista di Eshkol Nevo (Neri Pozza, 2019). Una sottile ironia vela l’intreccio che si dipana con ambiguità per tutto il romanzo.
E poco importa se la voce narrante si pone come pseudo-autore per coinvolgerci nelle sue angosce senza lasciarci un attimo. I fatti, il dramma famigliare, la redenzione sottintesa e sottesa ci si presentano come fotogrammi sbiaditi e sovraesposti che – sembra dirci Nevo – sono in fondo le nostre vicende così intime e, allo stesso tempo, sfacciatamente pubbliche, perse in un rincorrersi che non ha requie.
Il romanzo è idealmente diviso in quattro parti. Ma se per Faulkner dell’Urlo e il furore si è parlato di “sinfonia in quattro atti” con la famiglia Compson assurta a giustiziera di un auto da fè aperto in un movimento sistole-diastole, nel lavoro di Nevo il processo autodegradante si reinventa seguendo cicli narrativi tutti interni alla vicenda e all’evoluzione dei personaggi.
È per questo che la lettura di questo romanzo (non sempre fluida e pregna di suggestioni, va detto) è la migliore candidata, per i prossimi anni, al ruolo di canto generazionale disilluso e lacerato per i navigatori di città che, troppo spesso, trovano la propria dimensione a metà strada tra una riunione d’affari in un loft anni Ottanta e un reggiseno consunto che – il riferimento al terzo capitolo è esplicito – non conosce passioni né morte.
Una prova convincente. Dopo Tre piani (Neri Pozza, 2017) il timore era che la poetica di Nevo svoltasse in favore di un’apertura smitizzante del quotidiano. Mentre già dai primi capitoli de L’ultima intervista appare chiaro che l’autoerotismo esistenziale è la cifra stilistica che è destinata ad accompagnarci per ancora molti anni tra le pagine dello scrittore israeliano.
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Fotografia di Adriano Padua tratta dalla serie “Il quarto stato”, per gentile concessione dell’autore. Adriano Padua è nato a Ragusa nel 1978. Ha pubblicato le seguenti opere: Le Parole Cadute (d’if, 2009), Alfabeto provvisorio delle cose (Arcipelago, 2010), La presenza del vedere (Polimata, 2010), Schema (d’if, 2012), Still Life (Miraggi, 2017). Come performer ha partecipato ai maggiori festival e appuntamenti nazionali di poesia (Romapoesia, Parmapoesia, Absolute Poetry di Monfalcone, Festival della poesia civile di Vercelli, Poesia Presente di Milano, Notte Bianca di Roma, RicercaBo di Bologna). Laureato in sociologia della letteratura, ex giornalista, lavora nel campo della comunicazione e degli eventi culturali. Esegue i suoi testi con la collaborazione di dj e musicisti. Si diletta di fotografia.
Mario Bramè è nato a Vigevano nel 1973 e vive a Milano. È stato (o è tuttora): ph.d in filosofia della scienza, tifoso, scrittore, grafico, runner, editore, project manager, batterista, saggista, seo specialist, redattore, chitarrista, direttore di collana, studente di ingegneria, traduttore, programmatore, cantante, webdesigner, editor, inter-railer, organizzatore di concerti.
Nel 2018 ha pubblicato il romanzo La notte dei ragni d’oleandro.
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