I terrapiattisti contro ogni censura

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  

«Premessa. La stroncatura è un genere nobile, connesso alle origini del giornalismo culturale. Non lo pratica più nessuno. Perché? Perché in Italia puoi essere (anzi, devi essere) politicamente scorretto, ma non puoi fare il culturalmente anarchico. Insomma: sfottere il politico va bene, ma non toccate libri, scrittori, i potentati dell’editoria, la cristalleria della cultura. Come mai? Relazioni. L’Italia, di facciata, è un popolo di santi, poeti, navigatori; in realtà, è un paese di mafiosi, di leccaculo e di pavidi.»

Come si può non essere d’accordo con queste parole, per quanto iperboliche? Sfido chiunque a sostenere che non siano, in qualche modo, vere. Conoscevo la rubrica di Davide Brullo e la seguivo con interesse, prima che venisse cancellata dal nuovo direttore de “Linkiesta”. Non mi unirò, con questo, a nessun coro, ma bisogna ammettere che la sensazione prevalente è quella di essere immersi, come ha scritto recentemente lo scrittore e blogger Marco Patrone, «in una sorta di melassa dove capita di non vedere mai stroncature e/o di arrivare alla fine di una recensione senza aver capito cosa ne pensa realmente l´autore (della recensione stessa). O se il libro valga. Qui ovviamente non sono in discussione le competenze, ma l’atteggiamento. Su richiesta, posso portare esempi settimanali: di capolavori annunciati, di libri necessari, di mezze stroncature trasformate di malavoglia in stiracchiate sufficienze».

La regola di buon vicinato, in questo pianerottolo che è l’industria editoriale italiana, è questa: dei libri che non ci piacciono è preferibile non parlare. Se proprio intendiamo esprimerci pubblicamente, meglio farlo a favore di quei libri che abbiamo letto con interesse o di quegli autori che raccolgono la nostra amicizia o possono restituirci qualche favore: in caso contrario, non è improbabile che si finisca con l’inimicarci qualcuno che un giorno, se può, ce la farà pagare.

«Qualche lettore affezionato mi fa: non fai più le stroncature, ti sei inchinato ai “poteri forti”. No, gli rispondo. Semplicemente, le stroncature non me le fanno più fare, sono stato stroncato. Mi hanno cacciato, licenziato. Colpa di Nadia Terranova, Veronica Raimo, Teresa Ciabatti. Cioè di un pretesto. Piuttosto vile. Alquanto esemplare.»

Non ho letto la replica degli interessati, ma è possibile che sia andata come si fa di solito in questi casi, non senza motivi di opportunità: non replicare nulla, sconfiggere l’accusatore con l’esercizio della divina indifferenza, mentre magari si alza il telefono per organizzare la ripicca (vendetta è una parola che non ha senso usare nella casa di bambole dell’editoria, che è il regno della simulazione). A me piace questo agonismo fatto di non detti, o non scritti, tra scrittori, quindi non posso imputare a nessuno quella che reputo una tenuta psicologica encomiabile.

Piuttosto, mi domando un’altra cosa, ossia se quanto abbiamo imparato dai nostri prudenti mentori di fine novecento valga ancora qualcosa nell’attuale temperie. Io credo infatti che la critica, gli scrittori, gli editori, i giornali, fondamentalmente non abbiano più nessun potere d’interdizione o di persuasione. Scrivere contro o a favore di questo o quel libro, di questo o quell’autore/editore, censurare o censurarsi, è fondamentalmente una perdita di tempo. Nulla di vivo alberga più nei luoghi e nei modi acconci del secolo scorso. Qualcuno, per esempio, è davvero convinto che la linfa letteraria scorra oggi nelle fiere del libro o nei festival culturali? A parte qualche collezionista compulsivo che approfitta di sconti più alti che su Amazon, a me i saloni del mobile sembrano gironi di penitenza per gli addetti ai lavori, che per lo più fanno da pile umane per il sostentamento del carrozzone, e insieme parcheggi per le scolaresche che vi vengono tradotte a forza. I festival, invece, templi del contemporaneo dove provare a soffiare sulle braci di un determinato divismo catodico. Personalmente, cerco di tenermi lontano da entrambi e non vi metto piede se non costretto dalle circostanze (che sono sfavorevoli per statuto). E quindi cosa mi prefiggo, come suggerisco di impiegare meglio il nostro tempo? Semplicissimo. Propongo a Davide Brullo, che è critico e poeta, di rispondere al licenziamento nel modo più creativo possibile, ossia selezionando una raccolta di poesie selvagge che si chiamerà “Antologia dei poeti terrapiattisti”. Diamo voce a tutti i censurati e a tutte le idee sotto censura che più ci sembrano adatte a questo scopo: strapazzare un po’ di acconciature disegnate al normografo. La mia casa editrice è a disposizione. Ecco qualcosa che non potresti trovare né a una fiera né in un festival né nella testa di un terratondista, ma capace di scuotere i piedistalli di ogni simulacro.

Questo articolo è uscito originariamente sul blog della scrittrice Veronica Tomassini e ha innescato un dibattito ancora in corso sullo stato dell’arte letteraria in Italia.

*** *** ***

La fotografia a corredo è di Fulvio Orsenigo (1961), fotografo di architettura e di paesaggio. Al centro del suo lavoro, il rapporto tra rappresentazione spaziale e processi percettivi, che viene esplorato nei progetti sull’architettura e sul paesaggio con strategie di volta in volta diverse. Cofondatore del collettivo di fotografi “Fuorivista”, ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Biennale di Architettura e alla Triennale di Milano; ha realizzato diversi progetti e volumi, insegnando fotografia presso la facoltà di Architettura dell’Università di Venezia.


Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •