Il premio Nobel della letteratura assegnato al sovranismo e al globalismo favolista: quest’anno la tassa morale si paga due volte

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C’è stato un momento in cui negli Stati Uniti, meno in Inghilterra, di più in Italia, determinate case editrici acquistavano libri di autori stranieri in virtù del loro senso del dovere: accadeva tra gli anni settanta e i primi ottanta, al tempo della persecuzione contro diversi autori sovietici. I più erano libri ordinari, assolutamente dimenticabili – e infatti, chi se li ricorda, che fine ha fatto la letteratura sovietica? – ma chi ne acquistava i diritti era perfettamente a conoscenza del fatto che il ceto riflessivo li comprava, qualcuno li leggeva perfino, pagando una sorta di “tassa morale” per la sorte di questi sfortunati. Il successo di libri come quello della Tokarczuk, che è invece una ventriloqua della causa dei nomadi senza frontiere (favolista di scuola junghiana, da cui l’uso del flusso affabulatorio, in stile «analisi interminabile» novecentesca), fa parte di questa categoria. Con il Nobel l’Accademia ci fa pagare due volte lo stesso pegno: abbiamo acquistato – in pochi letto – la Tokarczuk de I vagabondi per senso del dovere, e adesso ci tocca subirla come regina di Svezia della letteratura (per un anno) allo scopo di calmierare l’altra incoronazione: quella dell’austriaco ex filo-nazionalista serbo.

Chi non avesse compreso, infatti, come mai il premio è andato a due favolisti così simili eppure tanto lontani (più ideologicamente impegnata la Tokarczuk, più capace di grazia estetizzante Handke, ma entrambi eredi di quella tradizione letteraria che preferisce l’annullamento della trama, l’aquaplaning linguistico, il memoir pedagogico, la dimensione psicologico/elegiaca, ecc., ai fili d’acciaio del narratore realista) si legga il pezzo di Viviana Fiorentino pubblicato in questa pagina. In particolare, il passaggio:

«Sì, è problematico escludere da un riconoscimento letterario gli scrittori che si sono compromessi appoggiando qualche causa politica sbagliata. Tra le ultime prese di posizione di Peter Handke la partecipazione al funerale di Milošević con il suo discorso che si concludeva “This is why I am here today, close to Yugoslavia, close to Serbia, close to Slobodan Milošević”. Prima ancora gli era stato conferito a Belgrado l’Ordine dei Cavalieri Serbi da Milošević per i servizi resi alla propaganda di regime. Ma non c’`e un conflitto, forse solo interiore al momento, che prima o poi bisognerà risolvere?»

Ecco, l’Accademia ha pensato di risolvere il conflitto in questo modo: da una parte si dà il Nobel a uno scrittore più dotato, ma proto-sovranista, come Handke, e dall’altro a una scrittrice più ordinaria e commerciale, ma che racconta la vita dei nomadi e abbraccia la causa anti-nazionalista, come Tokarczuk. Questa unione dei contrari è forse l’estremo tentativo, lo sforzo anche benemerito, di tenere insieme la sovrastruttura europea che traballa, ma l’uso pubblico del letterario non è letteratura. Sono questioni politiche in cui l’utile e l’inutile, il vero e il falso, l’estetica e l’etica si implicano a vicenda come in ogni attività umana, ma per le quali non è mai stato così chiaro quanto rendano superflue, se non fuorvianti, premiazioni del genere.

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Fotografia a corredo di Michela Bin, per gentile concessione dell’autrice. Nata a Trieste nel 1972, Michela Bin è laureata in archeologia medievale presso l’Università di Trieste; appassionata di fotografia da sempre, ha approfondito le sue conoscenze, tra gli altri, con Graziano Perotti.


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