Inchiesta sulla Lega e il suo doppio
Ho conosciuto Alberto M. al Seti Hotel di Wadi Halfa, una piccola città nel Sudan del Nord sulle sponde del lago Nasser, al confine con l’Egitto: ho avuto la ventura di incontrarlo il mese scorso, durante la trattativa per la compravendita internazionale di un resort extralusso, che ho curato per la società di investimento immobiliare con cui lavoro. La sua testimonianza è vera quanto eccezionale. Lui e i suoi sodali sono, ai miei occhi, gli autori di una delle più grandi truffe politiche della storia umana, e senza dubbio della più subdola operazione di propaganda e di manipolazione dell’opinione pubblica del secondo dopoguerra. Dal minuto successivo al nostro incontro volevo raccontare quanto mi ha riferito. Dal minuto successivo al nostro incontro non faccio che rivederlo, seduto nella hall dell’hotel con le palme di una piccola oasi al centro della piscina alle sue spalle, le finestre spalancate e l’aria immobile, mentre mi parla di come la Lega «è riuscita a trasformare i diamanti in naufraghi e viceversa». Ma procediamo con ordine. Non sono un giornalista né uno scrittore, solo un viaggiatore fortunato, e la mia prosa è piatta, ma precisa, come quella della mia Routard.
Una premessa indispensabile
Questa parte la conosciamo tutti. All’indomani del voto politico del 4 marzo 2018, dopo una lunga gestazione e poi il varo del cosiddetto “governo del cambiamento”, le cose cambiano subito, in effetti, soprattutto dalle parti del ministero degli Interni: il 10 giugno, a pochi giorni dall’insediamento, Salvini scrive il tweet #chiudiamoiporti e posta la sua immagine a braccia conserte, in completo ministeriale, annunciando che in Italia «la pacchia è finita» per tutti i clandestini «e chi ci specula». Il racconto del mio interlocutore comincia da qui. Il primo capro espiatorio del ministro è l’unica Ong in azione di soccorso nel Mediterraneo in quel momento – la Aquarius di Sos Mediterranée con oltre 600 persone a bordo –, dopo che gli “accordi libici” e il nuovo codice di condotta per le Ong approntati dal ministro Nicola Minniti (Pd, governo Gentiloni) hanno già ridotto sbarchi e salvataggi ai minimi storici. «Ma Salvini conosce i mezzi di cui si serve e l’importanza dei simboli, prima che delle leggi.» Incarna da subito, almeno agli occhi di Alberto M., «una figura di ministro performativo, che non vive e lavora al ministero ma per le strade, tra la gente, indossando la sua funzione nella forma della coscienza dell’abito»: il ministero si fa prêt-à-porter, l’uomo e il compito convergono in una instancabile spettacolarizzazione della vita pubblica e privata «che ricorda i reality show e ne bissa il successo». L’incarico politico di vice-premier e il ruolo di leader del vecchio centrodestra, che sopravvive al governo nelle amministrazioni regionali e locali, gli consentono, con soli setti ministri, di erodere consensi e spazi di manovra ai neofiti del M5S: «Quella che doveva rappresentare una “forza anti-sistema” gli oppone invece una resistenza incerta, faccendiera e sempre più simile al gioco del compromesso contestato fin lì all’intera “casta politica” di cui facevano parte anche i leghisti: i nuovi, adesso, sono loro.»
In Europa, dove vigono i regolamenti di Dublino che la Lega contesta ma non negozia, la risposta alla propaganda del neo-ministro italiano «si mostra debole, non coordinata, ispirata a uno spirito filantropico e umanitario sconfessato dai fatti»: il meccanismo di ricollocamento dei migranti sbarcati in Italia procede a rilento, ha incontrato forti resistenze da parte di molti Paesi che avrebbero dovuto partecipare ed è stato boicottato da alcune nazioni dell’Est europa, le stesse che il leader della Lega indica come sue alleate contro Bruxelles. Salvini martella l’opinione pubblica su queste «contraddizioni», così per la mia fonte, e sostiene che davanti agli scafisti e ai trafficanti si debba opporre una «strategia della fermezza che è ben incisa nella memoria degli italiani»: contro il ricatto dei terroristi, dei sequestratori, della mafia, nessuno sconto, quindi nessuna empatia con le vittime usate come merce di scambio o scudi umani dai trafficanti di esseri umani; «il sacrificio di chi adesso muore ostaggio di criminali senza scrupoli» verrà ripagato dall’interruzione delle rotte, dei naufragi e quindi «del business dell’immigrazione irregolare». «È un calcolo morale che gioca in anticipo ogni possibile obiezione dell’intelligenza emotiva, per questo – secondo Alberto M. – funziona.» Così Salvini prova a imporre un nuovo paradigma culturale che modifichi la scala dei valori: la sicurezza viene prima della solidarietà, i penultimi prima degli ultimi, «i nativi prima degli oriundi», la ragione di Stato prima del diritto internazionale, dell’umanità e del «ricatto emotivo», laddove le Ong e perfino i ricollocamenti rappresentano un «fattore di attrazione». Tutti gli avversari politici, compresi i soci di governo, «non riescono in nessun modo a ribaltare la presa di un argomento che si mostra con la forza di un principio di deterrenza o di riduzione del danno, rispetto a una minaccia ben più grave e concreta, attuale». La pagina Facebook del ministro diventa un megafono in funzione 24 ore su 24: terrazze, tetti, balconi, mercati rionali, luoghi di vacanza, lo stesso ufficio del Viminale e qualsiasi altra location si trasformano nel set per le dirette del «Capitano», che nel frattempo viene eletto a campione del sovranismo internazionale, preso a esempio e blandito da tutti i movimenti populisti della destra anti-liberale e anti-conservatrice, i cosiddetti o auto-proclamati «veri progressisti», come pure la mia fonte si professa. Travestito da vigile del fuoco, da poliziotto, da finanziere, da tifoso, da «uomo di buon senso», Salvini mangia in continuazione e posta le foto di piatti ordinari, mentre invoca la ruspa e getta in pasto ai suoi seguaci una interminabile teoria di fatti di cronaca senza ordine di gravità, che hanno a tema la condotta degli immigrati già ospiti del nostro paese «e la balbuzie degli avversari politici». Con lo smantellamento dello Sprar e il taglio ai fondi (dell’Unione) per l’assistenza, il suo consenso cresce nei sondaggi settimana dopo settimana, fino a raggiungere e superare quello dei soci di governo, che invece invertono le proporzioni: i risultati delle europee, nel maggio del 2019, fotograferanno questo stato di cose in tutta la sua drammaticità.
«Ma facciamo un passo indietro, al biennio 2008-2010: la Lega Nord è per la terza volta a Palazzo Chigi, come alleata del Pdl di Berlusconi.» I fumi del barbecue, dove i camerieri stanno cuocendo diverse specialità di pesci e crostacei, si spandono sulla piscina davanti a noi. L’ora di pranzo si avvicina. Sulla destra, alle spalle di Alberto, è stato preparato un tavolo da buffet con la tovaglia bianca, da cui sbalzano sculture di ghiaccio tra composizioni di peonie dai toni fucsia. Mentre il mio connazionale prosegue il racconto, la discreta attività del personale di sala si infittisce. «Tuttavia,» Alberto si sistema la giacca sulla camicia aperta, senza cravatta, «a venti anni dalla fondazione del partito e dal primo raduno a Pontida, molto è cambiato: i nuovi barbari sono entrati nelle istituzioni, hanno acquisito teste e competenze, rappresentano ormai un bel pezzo dell’establishment in quella “Roma ladrona” contro cui si battevano all’inizio». Hanno barattato la minaccia del progetto secessionista padano con la riforma del titolo V della Costituzione in chiave federalista e autonomista, mentre il loro leader storico, Bossi, è menomato dall’ictus del marzo 2004. «Il partito è in fase declinante, senza più forza propulsiva. Bisogna mettere da parte risorse in attesa di tempi migliori e di una nuova leadership che le possa usare.» In una riunione che si tenne alla fine del 2010, è Francesco Belsito, tesoriere del partito dal febbraio dello stesso anno, a proporre l’acquisto di diamanti, «perché i diamanti sono molto meglio di un certificato azionario, più facili da nascondere, e non danno preoccupazioni quando il mercato fluttua». Il gruppo dirigente recepisce: nel 2012 la Lega Nord investe milioni di euro di danaro pubblico in piccole pietre traslucide, il cui numero resta ancora oggi imprecisato. Nello stesso anno, il 5 aprile, termina la parabola di Umberto Bossi, che si dimette da segretario, travolto insieme a Belsito proprio dallo scandalo sull’uso illecito dei rimborsi elettorali. Dopo il breve interregno di un triumvirato e la stagione di Bobo Maroni, che alle elezioni politiche del febbraio 2013 registra, con circa il 4 % dei consensi, il risultato più basso della storia della Lega, i tempi sono maturi per un nuovo leader: «Nel congresso straordinario che lo vede opposto all’ologramma di Umberto Bossi, si compie il definitivo parricidio.» È il 7 dicembre 2013, lo stesso anno in cui ha avuto inizio la cosiddetta «crisi europea dei migranti»: Salvini viene eletto segretario con una amplissima maggioranza. Da qualche parte in Africa, il tesoretto di Belsito.
Doppio gioco
È a questo punto della storia, quasi sei anni più tardi, che incontro Alberto M. al Seti Hotel di Wadi Halfa, una piccola città nel Sudan del Nord sulle sponde del lago Nasser, al confine con l’Egitto. Quelli della società immobiliare mi hanno consigliato l’hotel come il migliore della città, praticamente sulla spiaggia. Un ambiente ideale per il soggiorno: arredi di lusso, una piscina enorme e un ristorante che serve delicatissimi piatti di pesce. Nella boutique di cortesia ho acquistato tutto il necessario per presentarmi da turista impeccabile: bermuda color senape, camicia in tinta con palmizi e pappagalli, berretto a visiera con la réclame dell’hotel, costume arancione della Sundek, infradito di paglia e stoffa e una sacca di tela col marchio Seti Abu Simbel. Compreso nel ruolo sono sceso in piscina per stuzzicare l’appetito prima del pranzo. Il tempo di un bagno sotto i riflessi di una nuvolaglia che mi innervosisce, e sono già smanioso. Mi accorgo di lui seguendo con lo sguardo un uomo che entra in sala da pranzo a passettini, nel suo bel completo avana. Si accomoda a un tavolo e guarda nella mia direzione: allora lo riconosco. Fa parte della squadra di intermediari avversaria, quella dei compratori. Lo saluto con un cenno. Esco dall’acqua e mi rivesto. Non manca molto all’ora di pranzo e decido di parlarci un po’. Gli propongo un aperitivo. Lui accetta e mi invita a sedere. Ordiniamo due bicchieri di vino bianco, secco e gelato. Non possiamo fare a meno, a un certo punto, di accennare alla situazione politica italiana e ai suoi possibili risvolti per il mercato immobiliare. È un modo per non parlare della trattativa che ci aspetta, quella sera stessa, ma per girarci intorno e annusarci un po’. Il suo racconto è iniziato così.
«Venni contattato esattamente un anno fa da un personaggio un tempo vicino a Maroni e ora fedelissimo di Salvini. Maroni lo conoscevo perché era stato allievo del professore cattolico marxista Cesare Revelli, mio amico, e perché frequentava da giovane il movimento di estrema sinistra Democrazia Proletaria.» Salvini dà il suo assenso e Alberto vola a Mosca almeno tre volte, tra ottobre e dicembre 2018. «Venivo spiato fin dal mio atterraggio a Šeremét’evo, ma questo era parte di un gioco a cui in passato avevo più volte partecipato: certe cose non sono cambiate con la fine dell’Urss e Putin è figlio di quell’epoca. Non conoscevo la contropartita pattuita da Salvini e non importava per il compito che dovevo svolgere, ma se l’Fsb si metteva a fare il lavoro sporco per uno che era primo ministro ancora solo nei sondaggi, be’, vuol dire che era qualcosa di davvero strategico per Putin.»
I contatti di cui mi parla sono agenti dell’Fsb di Mosca operativi in Africa. Curano gli affari russi nel continente, marcano stretto i cinesi e svolgono missioni anche per conto degli alleati del Cremlino. Il piano è vendere i diamanti per puntellare l’emergenza: dopo il giro di vite dell’estate 2018, le Ong superstiti hanno sempre meno risorse per presidiare i limiti del mare territoriale libico, prelevare i migranti in difficoltà e poi fare rotta verso le coste del sud Europa. Ma l’obiettivo eccede le capacità degli italiani. La Lega ha bisogno di professionisti, faccendieri non diversi da quanti saranno intercettati, nelle stanze dell’hotel Metropol di Mosca, a colloquio con Gianluca Savoini, l’amico e consigliere di Matteo Salvini: sono gli eredi di una lunga tradizione che va dalla Ceka all’Nkdv fino all’Fsb passando per il Kgb. Secondo la mia fonte, l’interesse di Putin per Salvini è legato alla prospettiva di indebolire l’Unione europea, lavorare per la rimozione delle sanzioni contro la Russia legate alla crisi ucraina, tornare protagonista in un’area che va dal Medio-Oriente al continente artico, che nel frattempo si scioglie e apre nuove possibilità di business. «Esiste, alla bisogna, tutta una rete di società fantasma, di organizzazioni sotto copertura attraverso cui far confluire, a insaputa dei destinatari, un flusso irrintracciabile di fondi.»
Tra la primavera e il luglio del 2019, mentre gli sbarchi clandestini con piccoli mezzi di fortuna non si sono mai arrestati, si intensifica l’azione di alcune organizzazioni di soccorso: scendono in mare perfino vecchi attori dell’antagonismo altermondista come il disobbediente Luca Casarini, capo missione con la Mare Jonio nel marzo 2019. Per mesi, attraverso i sequestri disposti dalla magistratura, le Ong erano rimaste ferme. Ma adesso sono tornate attive almeno in quattro: Sea Watch, Sea Eye con la nave Alan Kurdi, Proactiva Open Arms, Mediterranea saving humans con il veliero Alex. Ormai, con loro, è sfida aperta. Mentre a Lampedusa e in altri porti italiani i migranti continuano ad approdare a bordo di navi della Marina militare o della Guardia costiera italiane oppure sui “gommoni fantasma”, i porti sono “chiusi” per le sole Ong, «che tuttavia vi si dirigono in modo sistematico». La Mare Jonio approda a Lampedusa il 19 marzo. La Alan Kurdi viene dirottata a Malta il 13 aprile. La Sea Watch 3 raggiunge Lampedusa il 19 maggio.
La contrapposizione raggiunge livelli di scontro mai sfiorati in precedenza, rimbalza al livello internazionale con grandissima forza, alla vigilia della consultazione europea: fatalmente, anche senza i buoni uffici di Savoini tesi a finanziare la campagna elettorale della Lega con l’agognata tangente da 65 milioni di euro per una partita di giro da Gazprom a Eni, Salvini raddoppia i consensi e porta il suo peso politico a oltre il 34 % del totale dei votanti, mentre l’astensionismo dimezza i soci di governo e dà un po’ di ristoro al principale partito politico d’opposizione, il Pd, «che fino ad allora non aveva toccato palla o quasi».
Ma la sfida continua. E tocca il suo culmine con l’azione della comandante Carola Rackete sulla nave Sea Watch 3: nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno, pur di portare il suo carico in salvo, «la Capitana» violerà le consegne del decreto sicurezza bis, appena varato dalla traballante maggioranza proprio per incrementare l’efficacia di quello emanato a novembre. Per il primo ufficiale della Sea Watch 3, tuttavia, non ci saranno conseguenze. Al di là dei rilievi costituzionali del presidente Mattarella, che in ogni caso ha promulgato il nuovo provvedimento, in base al diritto internazionale e alle leggi del mare non cambia nulla riguardo al dovere di prestare soccorso. Tanto che presso una parte rilevante dell’opinione pubblica si farà strada l’idea che i decreti sicurezza 1 e 2, nella loro inconsistenza giuridica, siano l’indizio della volontà di proseguire in un braccio di ferro che continua a pagare in termini di visibilità e di consenso. Qualcosa, nella narrazione della Lega, sta perdendo efficacia. Per la mia fonte, «è sempre più difficile sostenere che i capitali coraggiosi al servizio di Soros intendano portare avanti il complotto della “sostituzione etnica” e nel contempo conducano una strategia che avvantaggia politicamente il loro nemico più emblematico, Salvini, neanche stesse finanziando lui le Ong. Ma di questo aspetto, per fortuna, se ne accorgono soltanto in pochi…»
Fuori da questo hotel c’è un mare di gente e l’aria ha un odore dolciastro; sono sensazioni che si colgono al primo impatto e non si dimenticano. Sul lago, barche primitive, palesemente costruite per una navigazione fluviale a remi e poi adattate a sopportare un motore, raccolgono quanta più gente possibile. Ci sono parecchi turisti, ma non provo nessuna solidarietà per questi miei simili: ho già deciso che il Sudan o l’Egitto non fanno per me.
Alberto si sporge in avanti: «Anche se l’obiettivo è opposto, l’ideologia delle Ong, semplicemente, ha in sé quei caratteri di irriducibilità morale che possono essere sfruttati per scopi strumentali ed esiti controversi.» Il veliero Alex forza il blocco del decreto sicurezza bis e sbarca a Lampedusa il 6 luglio. La Ocean Viking gestita da Sos Méditerranée e Medici senza frontiere aspetta indicazioni dall’Europa per tredici giorni prima di dirigersi su Malta il 23 agosto. Il 18 agosto, sul nuovo stallo della nave Open Arms alla fonda di Lampedusa da diciassette giorni con oltre cento persone a bordo, Salvini arriva a tacciare i soccorritori di impiegare i naufraghi come «ostaggi», ribaltando l’accusa di sequestro di persona che si era visto recapitare a mezzo del Tribunale dei Ministri per il caso Diciotti l’anno prima. Per Alberto, «un capolavoro di manipolazione» che si aggiunge al lavoro di depistaggio portato avanti, dalla stampa a lui solidale, per esempio con le accuse di connivenze tra trafficanti e Ong.
Il momento è cruciale, perché l’8 agosto i siti americani di informazione Buzzfeed News e di giornalismo investigativo Bellingcat hanno pubblicato una nuova indagine in base alla quale le rivelazioni del 10 luglio sui colloqui di Savoini al Metropol di Mosca del 18 ottobre 2018 sono corredate da un lungo elenco di visite avvenute nel tempo: quattordici volte in Russia solo nel 2018, sette nel 2017, nove nel 2016, cinque nel 2015 e almeno tre volte nei primi tre mesi del 2019. Non si sa chi abbia pagato per questi voli e cosa abbia fatto Savoini durante le sue visite, ma c’è un elemento che rende questi viaggi quantomeno strani. Secondo BuzzFeed e Bellingcat la banca dati del ministero dell’Interno russo non ha registrato gli ingressi, che potrebbero essere stati cancellati, oppure Savoini godeva di uno status privilegiato che gli permetteva di entrare nel paese aggirando i normali controlli doganali. «Non so se è chiaro il livello di copertura politica che implica una vicenda del genere… Se è stato possibile questo, che cosa non lo è?» La pressione su Salvini, che in prima battuta ha perfino negato di conoscere l’uomo che da anni tiene le fila dei rapporti tra la Lega e la Russia di Putin, era già tale da aver costretto lo stesso premier Conte a riferire in Parlamento, il 24 luglio, per difendere l’onorabilità del governo italiano, specie davanti ai partner della Nato.
I sondaggi, tuttavia, danno al leader della Lega una percentuale di consensi sempre più prossima al 40 %, quasi che a quattro elettori su dieci non solo non importi nulla dei possibili sostegni russi, ma anzi vada bene anche il più discutibile mezzo se giustificato dal valore del compito e dei risultati empirici ottenuti in fatto di respingimenti.
Proprio l’8 agosto, nel pieno di una campagna elettorale condotta in modo permanente dalle spiagge d’Italia, Salvini prova a spezzare il cerchio che si sente addosso: rompe l’alleanza di governo con i 5S e chiede elezioni anticipate per ottenere «pieni poteri». Non ottiene nulla, come lui stesso prefigura all’indomani della decisione, anzi, finirà all’opposizione nel giro di venti giorni, «ma nel frattempo resta protagonista in qualità di “premier in pectore”, decisore brutale ma di sostanza, vittima dichiarata della restaurazione globalista e dell’altrui terrore delle urne, e intanto si è sottratto dal centro di un scenario internazionale che stava per diventare rovente».
La mia storia è conclusa e dovrebbe esserlo anche l’operazione sotto copertura che mi è stata raccontata, ma scopro che è difficile mettere la parola fine a una vicenda del genere. L’eredità politica, in fatto di immigrazione, è pesantissima, tanto che la nuova compagine governativa non si azzarda a toccare i decreti e tiene ferma la barra discorsiva sulla sicurezza, sui rimpatri, sui ricollocamenti, sul controllo delle frontiere e dei soggetti preposti alle attività di soccorso, sulla lotta all’immigrazione clandestina e al traffico di essere umani. Tutto è cambiato, ma moltissimo si implica, si spalleggia e si somiglia, in un gioco di doppi che rasenta l’indifferenziazione, il paradosso, l’assurdo, e nel quadro di una situazione politica, non solo umana e ambientale, sull’orlo del tracollo.
Davanti all’hotel, l’acqua del lago racchiude la totale immobilità che s’immagina in un miraggio; assorbe anche il cielo e i raggi del sole che rimbalzano dalle dune di sabbia e roccia. Immerso nel silenzio della sera, attendo sulla riva: sto assistendo all’ebbrezza del tramonto. Poi i miei piedi, le gambe, il petto nudo, incrociano l’acqua senza spiegare un fremito d’onda. La sento alla vita ma non avverto la presenza liquida. La natura mi accoglie nella sua cosmica indifferenza, affondo il mio corpo e nulla si scompone: l’acqua si rifiuta di bagnare, ogni intervento le è estraneo, la lascia remota e impenetrabile come la placenta di un pianeta inabitato.
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Nella fotografia a corredo del testo un’opera di Alem Teklu, “Sogni delle migranti”. La scultrice nasce ad Adua, città situata nella regione di Tigrè, in Etiopia. Gli inizi artistici nella sua nazione l’hanno vista creatrice di opere in creta, cartapesta e cemento, finché non è approdata nella capitale mondiale del marmo: Carrara. Qui ha frequentato l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in scultura, e poi ha deciso di rimanere per realizzare il suo sogno artistico: utilizzare il marmo per comunicare con i migranti e far conoscere la scultura anche nel suo paese natale, l’Etiopia, dove c’è il marmo, ma non si trovano scuole per l’insegnamento della lavorazione della pietra. Il suo studio è nel centro storico di Carrara, dove, oltre a scolpire su commissione, segue il suo progetto artistico sul tema dell’immigrazione, provando ad “avvisare” i popoli migranti che qui, in fondo, non c’è il paradiso che si aspettano di trovare. Le sue opere sono state premiate ed esposte in diverse parti del mondo.
Massimo Iovinella è nato a Napoli nel 1980. Dopo gli studi di Giurisprudenza, ha svolto l’attività di assistente notaio a Roma e a Caserta. Dal 2009 lavora per una società di investimento immobiliare quotata in Borsa. Inchiesta sulla Lega e il suo doppio è il suo primo racconto.